2. L’lluminismo e l’affermazione dei diritti processuali
Mentre nel mondo anglosassone – se ne è parlato qui – all’alba del XVII secolo la codificazione dei diritti processuali dei cittadini (per quanto “sudditi”) era ormai matura e compiuta, una simile elaborazione in Europa non iniziò prima del centennio successivo, con l’avvento del pensiero Illuminista.
Prime affermazioni della necessità del rispetto di una forma processuale e di diritti dei singoli all’interno del processo furono rispettivamente di:
- Pierre Ayrault, per il quale “la giustizia non è propriamente cosa altra rispetto alla formalità”, e dunque era proprio il rispetto della forma a separare la giustizia dalla forza e dall’autoritarismo;
- Montesquieu, che affermò che le formalità – in relazione alla libertà dei cittadini – erano sempre troppo poche;
- Gian Domenico Romagnosi, secondo cui il rispetto della procedura serviva innanzitutto a non confondere un reo con un innocente.
Da queste prime riflessioni, e attraverso passaggi paradossali, come la Contitutio Criminalis Theresiana emanata da Maria Teresa d’Austria nel 1769, ove venivano descritte con maniacale precisione e razionalismo scientifico le varie tecniche di tortura, in modo da svincolare il più possibile una simile pratica – pur ritenuta necessaria – all’arbitrio del singolo pubblico ufficiale, si pervenne alle pubblicazioni nel 1763 e 1764 rispettivamente del Trattato sulla Tolleranza di Voltaire e del Dei Delitti e delle Pene di Cesare Beccaria, che furono una rivoluzione copernicana nel modo di intendere il processo e – più in generale – l’amministrazione della giustizia.
Primo esempio del recepimento dei principi illuministi fu l’emanazione della Leopoldina, nel 1786, ossia la legge di riforma della legislazione criminale toscana – valida per il Granducato – ad opera di Pietro Leopoldo d’Asburgo. In essa, principio fondamentale era l’espressa presa di coscienza che la certezza della pena in unione con la celerità nella celebrazione dei processi e nella conseguente emanazione di una sentenza avrebbero determinato una diminuzione dei reati, senza necessità di strumenti fortemente repressivi come la tortura e la pena di morte.
Capisaldi dell’elaborazione illuminista furono: la razionalizzazione, la laicizzazione e l’individualismo.
La razionalizzazione affermò, come scritto da Beccaria, la necessità di una maggior precisione e determinatezza della legge penale rispetto a quella civile, onde evitare il pericolo di deriva della giustizia penale in un mero arbitrio nelle mani del giudice.
La laicizzazione – elemento fondante di tutto il movimento illuminista – e il conseguente distacco dalla dottrina ecclesiastica, comportò la fine dell’identificazione tra reato e peccato, ma soprattutto tra reo e peccatore.
Infine, l’individualismo determinò un ribaltamento dalla difesa della comunità dal reo, alla difesa dell’individuo all’interno del processo (e quindi dalla comunità che, attraverso l’attività del giudice, per l’appunto lo giudicava).
Obiettivo del nuovo sistema processuale non era, quindi, più solo la repressione dei reati, ma anche la garanzia del soggetto sottoposto a giudizio.
Venne assimilata la concezione anglosassone del giusto processo (due process of law), con archiviazione del fine di ricerca della verità fattuale.
All’ancient régime venivano criticati: la procedura inquisitoria; la tortura, tanto come mezzo di ricerca della prova quanto come pena accessoria; l’assenza di garanzie processuali e difensive per l’accusato; la crudeltà ed esemplarità delle pene.
Il culmine si ebbe nel 1789, con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, per quale (art. 1) “Gli uomini nascono e restano liberi ed eguali nei diritti”.
Le novità del periodo rivoluzionario in Francia furono, in ambito processual – penalistico:
- la netta distinzione tra giurisidizione civile e penale;
- la nascita della Court de Cassation e la distinzione conseguente tra giudizio in fatto e in diritto;
- l’introduzione del doppio grado di giudizio;
- l’oralità e la pubblicità della procedura penale;
- l’elettività dei giudici;
- l’istituzione delle giurie popolari;
- l’abolizione della tortura;
- l’affermazione del principio del giudice naturale, che proteggeva (e protegge tutt’oggi) la certezza del giudice, sottratta a qualsiasi arbitrarietà di designazione;
- l’irretroattività delle leggi penali, per la quale nessuno può essere giudicato né tantomeno punito per un fatto che – al tempo in cui fu commesso – non era previsto dalla legge come reato;
- l’obbligo di motivazione delle sentenze, di nuovo per impedire decisioni arbitrarie del singolo.
Tutte caratteristiche, quelle elencate, che costituiscono (o dovrebbero costituire, in ogni loro applicazione) taluni dei principi fondamentali che regolano la macchina della giustizia in ogni sistema democratico, incluso quello italiano.
Tuttavia, come si vedrà, il periodo illuminista e la rivoluzione francese non ebbero lunga vita, e ben presto l’ancient régime ebbe di nuovo il sopravvento, anche grazie a colui che aveva preso il potere allo scopo dichiarato di porvi fine in maniera definitiva: Napoleone Bonaparte.